È POSSIBILE UNA SOCIETÀ SENZA DENARO, E UNA ECONOMIA DIVERSA DALL’ATTUALE? TEMA SUGGERITO DA UN LETTORE, CHE I MIEI SUPERIORI ALIENI HANNO RITENUTO INTERESSANTE E DA APPROFONDIRE.
ECCO UN PRIMO RESOCONTO A PARTIRE DALLA LETTURA DI UN LIBRO PUBBLICATO DUE ANNI FA.
Il libro è “F-Day – il risveglio dell’uomo” di Colin Turner. Una storia avvincente che racconta un mondo non più fondato sulle logiche del profitto e della competizione economica, e che può fare a meno del denaro.
Karl Drayton, il protagonista di questa avventura, si chiede come si vivrebbe se non avessimo più bisogno dei soldi. E innesca una serie di reazioni a catena, che partono da una piccola isola ma nel tempo si estendono, creando un nuovo sistema economico in cui la moneta non serve più.
È una “economia del libero accesso”: l’autore stesso in un’intervista la definisce fondata “su una società in cui l’accesso a beni e servizi viene garantito a tutti, senza un prezzo o un prerequisito; in questo tipo di società la condivisione e il volontariato sostituiscono il commercio, con la consapevolezza che quando tutti contribuiscono, tutti ne traggono beneficio. Una società basata sulla condivisione riduce automaticamente lo sfruttamento di persone e risorse, il consumismo e l’inquinamento; il lavoro volontario è anch’esso maggiormente efficiente, in quanto lo sforzo è condiviso, contrariamente da quanto accade nel nostro modello attuale.”
Un nuovo modo di riprendere l’ideale del comunismo, o di applicare le regole comunitarie del primo cristianesimo o di altre religioni? Un ritorno all’economia dello scambio in vigore ai primordi della civiltà? Una nuova utopia che ne riprende tante, affermate in certi periodi della storia del mondo ma poi regolarmente tramontate?
Non sappiamo – dice Turner, non nascondendosi le difficoltà – se un accordo di reciprocità possa funzionare su larga scala, cioè a livello planetario, perché l’interesse privato e la mancanza di fiducia nella condivisione sembrano ostacoli insormontabili. Ma “ci sono tutte le ragioni per credere che la fiducia, in una cultura post-monetaria, aumenterebbe man mano che diventiamo più apertamente e personalmente dipendenti gli uni dagli altri. Inoltre, la nostra cultura basata sull’interesse privato verrebbe senza dubbio ridimensionata una volta che sperimentiamo e beneficiamo noi stessi il valore intrinseco di una società fondata sulla reciprocità.”
Fin qui un romanzo e l’ideologia di un romanziere.
Ma nella realtà come stanno le cose? Ci sono esperienze di economie senza denaro?
Partiamo dal presupposto che il denaro è di per sé virtuale: i soldi non hanno più un valore intrinseco, come avevano le monete fatte di oro o altro materiale pregiato. La carta della banconota su cui il denaro è stampato, l’assegno, il bancomat, sono slegati da un valore concreto e basati su una convenzione in cui sono gli Stati a garantirne la validità (finché ci riescono…)
Il denaro è sempre più virtuale, fino ai bitcoin e alle tante criptovalute diffuse nel mondo: monete digitali, garantite da un sistema crittografico che ne impedisce la contraffazione. Non hanno autorità centrali ma sistemi autonomi, che ne assicurano l’uso per comprare e vendere in tutto il mondo. Sono tanto importanti che il neo presidente degli Stati Uniti Trump ha nominato il miliardario David Sacks – vicino all’altro miliardario Elon Musk – come “zar della criptovaluta, area cruciale per il futuro della competitività americana”.
Dunque la moneta è già virtuale, niente a che fare con la piscina piena di monete d’oro in cui godeva nuotare Paperon de’ Paperoni.
Scriveva Georg Simmel nel suo Filosofia del denaro del 1900 che la moneta è stata “spiritualizzata”, perché è la società che attribuisce al denaro un valore reale e un’aura sacrale, una forma che rappresenta l’essenza della vita delle persone e delle società. Questo ruolo hanno le transazioni virtuali, dalle carte di credito, agli acquisti su internet, alle operazioni di borsa.
Si può fare a meno di tutto ciò? la fiducia nel denaro che permette di “comprare e vendere tutto” potrebbe domani essere trasferita ad altro mezzo?
Le proposte di sharing economy, e di una società della condivisione che prescinde dal denaro, sono state realizzate in diverse parti del mondo. Soprattutto in America Latina ci sono esperienze di economie senza moneta, fondate non sul primitivo e irrealizzabile baratto, ma sullo scambio reciproco di servizi, garantito su solidarietà e fiducia reciproca.
A d esempio, i Tianguis messicani da trent’anni scambiano beni e servizi mediante il Tlaloc, che rappresenta un’ora di lavoro sociale. Analoghe unità di scambio non monetario sono usate da tempo, per rispondere alle crisi economiche, in Brasile, Argentina, Cile, Perù, Venezuela, ma anche in Senegal, in Australia, in Giappone.
Varie esperienze di commerci non monetari hanno prodotto unità di scambio locali, sociali e solidali, emesse e stampate per conto di tutti i membri della comunità, legalizzati da certi governi come quello brasiliano, perché proteggono dalla ingorda colonizzazione dell’economia globalizzata.
Persino nella ricca Florida il “Venus Project”, ideato dall’architetto Jacque Fresco, promuove una comunità urbana che abbandona i modelli economici tradizionali basati sulla moneta. Propone invece un’economia in cui le risorse siano gestite in modo efficiente e condivise equamente, senza il bisogno del denaro o della proprietà privata.
Su una vita comunitaria ed una economia in cui il denaro perde valore si è basata l’esperienza italiana di Nomadelfia, fondata da un prete, don Zeno.
A livello individuale ci sono interessanti esperienze come quelle dell’ex psicoterapeuta tedesca Heidemarie Schwermer, fondatrice della Centrale Gib und Nimm (“dai e prendi”). O dell’inglese Mark Boyle, soprannominato ‘no money man’ e fondatore della Freeconomy Community, che ha dichiarato in un’intervista: “Che cosa ho imparato? Che l’amicizia, non il denaro, è la sicurezza reale. Che la povertà più occidentale è di tipo spirituale. Che l’indipendenza è realmente interdipendenza”.
Keynes scriveva che usare il denaro come strumento per ottenere il benessere nella vita va distinto dall’amarlo come ricchezza da “possedere” e accumulare come bene in sé: “fatto morboso leggermente ripugnante, una di quelle propensioni per metà criminali, per metà patologiche di cui si affida la cura agli specialisti di malattie mentali”. Morbosità da cui derivano speculazioni finanziarie, illegalità, delitti di alcuni e povertà di altri, e malessere diffuso.
Questo il tipo di denaro che si dovrebbe sostituire. Non sappiamo se si potrà fare in tutto il vostro pianeta, come nel romanzo di Colin Turner. Oppure saranno isole nel grande mare dell’economia dove invece resteranno sempre più globalizzate la produzione e pubblicità dei prodotti vendibili e acquistabili con la tradizionale moneta, reale o virtuale che sia.
Ma le isole sociali solidali, rispetto al mondo in cui domina il denaro, possono costituire un al-di-là in cui far regnare la condivisione e forse un maggiore benessere.
Comments are closed.