NEGLI STESSI GIORNI IN CUI IN ITALIA SI PROCLAMAVANO TRE GIORNI DI LUTTO NAZIONALE PER LA MORTE DI UN UOMO POLITICO, IN GRECIA LO STESSO PERIODO DI LUTTO VENIVA INDETTO PER LA TRAGEDIA AVVENUTA NEL MARE MEDITERRANEO.
Un’altra strage dopo quella di Cutro sulle coste calabre di qualche mese fa, con oltre 100 morti.
Adesso si parla di oltre 700 persone imbarcate, di cui un centinaio bambini. Solo una piccola parte si sono potute salvare dopo l’affondamento.
Pare che le autorità greche e le altre europee fossero ben consapevoli di questa imbarcazione sovraffollata a rischio di affondamento. Ma nessun soccorso è stato tempestivamente organizzato. Troppo tardi sono partite le ricerche delle centinaia di dispersi in mare. E poi si è proclamato il lutto per un numero di vite perdute. Numero che non ha eguali nella storia, purtroppo ricorrente, di queste stragi che stanno trasformando il Mediterraneo da “mare comune” a “fossa comune” di corpi e di miraggi travolti.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni parla di “un’altra tragedia nell’Egeo che rafforza l’urgenza di un’azione concreta e globale da parte degli Stati per salvare vite in mare e ridurre i viaggi pericolosi, ampliando i percorsi sicuri e regolari per la migrazione“.
Ma non è affatto questa la logica prevalente tra i paesi benestanti, che preferirebbero impedire le partenze piuttosto che agevolare la migrazione “regolare”, ritenendo “irregolari” i tentativi di entrare nei propri confini territoriali.
Ma è “irregolare” la diffusa disperazione e la ricerca di viaggi di salvezza per sé e i propri figli, o lo è la vita di questi disperati nei loro paesi di origine?
Delle ragioni che spingono gli emigranti ad affrontare viaggi difficili a rischio della vita ho già detto tempo fa.
E ho detto anche delle ragioni (poco ragionevoli…) che spingono molti Stati a rifiutarli, in nome della difesa della propria integrità territoriale e della identità etnica.
Adesso si aggiunge la (paradossale?) dichiarazione di lutto nazionale da parte di uno stato che non ha saputo, o voluto, salvare questi disperati pur avendo avuto consapevolezza da tante ore che il barcone stracarico era a rischio. Una delle tante “stragi annunciate”, sulla quale il pianto a posteriori assomiglia alle lacrime del coccodrillo dopo la morte della preda.
Il lutto sociale testimonia che si piange per una perdita che non si voleva avvenisse. E che si doveva evitare a qualunque costo, perché fa male a tutta la comunità sociale.
Qual è il male che la società riceve dai naufragi di tanti sventurati in cerca di salvezza dalla guerra e dalla miseria? È il tradimento della missione fondamentale della comunità umana: dare a tutti i suoi membri la possibilità di vivere in condizioni dignitose, e libere dalle condizioni disumane cui condannano indigenza e insanabili conflitti sociali.
Una società civile non può fare a meno di essere interconnessa, non solo attraverso i media, ma con una condivisione di valori di fraternità e di benessere sociale. I media costruiscono la coscienza collettiva ma possono anche manipolarla e distorcerla; la economia globalizzata tende a sopraffare i più deboli anziché aiutarli a diventare più forti.
Senza il valore di sentirsi tutti “affratellati” da un destino comune si cade nell’egoismo per cui gli altri sono competitori di risorse. E quindi si cerca di accaparrare le risorse anziché accrescerle per poterle distribuire meglio a tutti.
“Fraternità, perché?” si chiede Edgar Morin in un libro citato in un precedente post, creando il neologismo “reliance”, che fonde religione (anche laica) e alleanza. La fraternità non può essere imposta per legge, ma da valori etici. Deriva dal riconoscimento della comune umanità e dalla accoglienza delle differenze come risorse e non come barriere. La società multietnica, dice Morin, crea un’unica “Patria-Focolare” del genere umano. Ed è questo il “porto sicuro” verso cui devono poter mirare tutti gli esuli che cercano di salvarsi dalla deriva a cui portano la tecnologia e l’economia, quando non mirano al bene comune.
Se in questa ricerca tanti perdono la vita perché non vengono soccorsi, o se vengono respinti alle “frontiere”, davvero bisogna proclamare un lutto, non nazionale ma mondiale.
Lutto per la sconfitta della cooperazione per creare un mondo più giusto ed equo. Lutto perché mantenere gli squilibri economici e sociali crea le condizioni per ulteriori conflitti e la diffusione del malessere. Perché la pressione delle masse di indigenti ed affamati a lungo andare mina il benessere anche di chi crede di averlo egoisticamente conquistato.
E questo lutto durerà ben più di tre giorni, dopo i quali non si può presumere di tornare ad una “normalità” che tutto il pianeta rischia di perdere per sempre.
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