PRIMO MAGGIO: SI FESTEGGIA IL LAVORO! MA QUALE LAVORO?
Si dicono tante parole sul lavoro, che manca, che stanca, che a volte affranca, ma qualche volta distrugge.
Tanti libri di economia, sociologia, psicologia, ne trattano diffusamente. Non c’è politico che non si proclama difensore del lavoro. Il lavoro è messo a fondamento della vostra costituzione, e di quella di altri paesi.
“Chi non lavora non mangia” ammoniva San Paolo (la frase fu poi attribuita a Lenin!). Ma si riferiva a chi non vuole lavorare, mentre il problema si pone per chi il lavoro lo cerca ma non lo trova.
Il lavoro, quando c’è, può soddisfare e far sentire realizzati. Ma spesso non è così, anzi non piace ed è vissuto come una condanna. In realtà, gli ambiti in cui molti vorrebbero lavorare sono già saturi, mentre altre mansioni non sono neppure cercate. E quando vengono prese dagli stranieri, magari quelle più faticose e mal pagate, ci si lamenta che “rubano il lavoro”… ma a chi non lo vuole?
Alla fine molti, “indigeni” o immigrati, si trovano a fare lavori anche sgraditi, per sopravvivere o per appagare, mediante il guadagno, altri desideri e altre aspirazioni.
Altri al contrario trovano proprio nel lavoro la compensazione di una vita altrimenti insoddisfacente. Una nuova patologia, descritta nei manuali diagnostici, è proprio la dipendenza ossessiva dal lavoro.
E ci sono persone nevrotiche che continuano a “lavorare” anche quando dovrebbero rilassarsi, dedicandosi a “hobbies” che sono impegnativi e faticosi più del lavoro vero e proprio.
Il lavoro stressa quando è troppo poco o manca, quando non piace, ma anche quando esige troppo. O quando il lavoratore non è preparato a farlo.
La formazione pretende di preparare al lavoro, ma spesso non ci riesce, se il lavoro che si trova è diverso da quello per cui ci si era formati. E allora la formazione, tranne pochi casi, si tiene sul generico dicendo di mirare a “competenze trasversali” buone per diversi lavori. Giusto, però poi una preparazione specifica per la mansione da svolgere si deve pure avere, per non dover improvvisare, in modo insoddisfacente per tutti.
Insomma il lavoro buono e fatto bene e per tutti è un puzzle difficile da comporre. Ci vuole lungimiranza nel programmare investimenti, ad esempio per migliorare l’ambiente e la qualità di vita delle persone, creando nuove opportunità lavorative. E sfruttando la globalizzazione della produzione e dell’economia a vantaggio del lavoro di tutti e non del guadagno di pochi.
Qualche economista più spregiudicato sostiene che è impossibile far lavorare tutti secondo quello che piace fare, ed è il “mercato” che decide chi fa che cosa, e chi non può fare nulla. Si sentenzia che l’economia e la finanza adesso sono “globali” quindi poco controllabili dai singoli governi. Però, vedi caso, chi resta fuori da questo mercato sono sempre i paesi già più poveri, e anche nelle nazioni più ricche, le categorie sociali come le donne e i giovani. E questo crea problemi sociali che i vostri governi nazionali e sovranazionali non sanno risolvere, anzi finiscono per rinunciare ad affrontare.
Eppure è ben noto che il lavoro è la fonte principale di benessere delle persone e della società.
Quando a Sigmund Freud già anziano chiesero quali erano secondo la sua esperienza le cose che qualificano la salute mentale, contrastando i mali oscuri che provengono dall’inconscio, rispose semplicemente “amare e lavorare”. Queste due parole costituiscono anche il titolo di un libro della teologa Dorothee Sölle, che vede il lavoro insieme all’amore come forze trainanti per la creazione di una vita significativa e di un mondo più umano.
Lavorare tutti, lavorare meno, lavorare meglio: sembra uno slogan propagandistico di sindacalisti in cerca di consensi o di politici a caccia di voti. Invece è l’unica prospettiva per far sopravvivere il vostro mondo, e poter festeggiare davvero un lavoro fonte di benessere e di vita. Parola di alieno!
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