UNA FORMA DI ARTE MOLTO APPREZZATA NEL VOSTRO MONDO E’ L’OPERA LIRICA, O “MELODRAMMA”.

Drammi in musica, tragici o buffi, rappresentati in teatri costruiti appositamente, e seguiti da appassionati che assistono dai costosi palchi o dai più economici ‘loggioni’.  I primi sfruttano le serate di gala per sfoggiare eleganti abbigliamenti e preziosi gioielli, altri invece vanno per applaudire i cantanti che ammirano, o fischiare quelli che non gradiscono.

Questo tipo di opere mi hanno incuriosito, perché inizialmente pensavo fossero un insieme di canzoni messe in scena, come un festival con una trama unica. Poi mi sono reso conto che si tratta di ben altro: lavori teatrali veri e propri, con un testo detto ‘libretto’, su cui il compositore scrive una musica che deve essere cantata da esperti in difficili acuti e gorgheggi (si chiamano soprani e tenori) o in altre tonalità (mezzosoprani, contralti, baritoni, bassi) ma non meno impegnativi. Insomma esiste una categoria di artisti che si dedicano, con una lunga e faticosa formazione, a questo tipo di canto. E si consentono agilità vocali che suscitano l’entusiastica ammirazione del pubblico, o accanite contestazioni quando ‘steccano’ o interpretano male gli spartiti, che gli autori a volte rendevano ardui proprio per esaltare (o mettere in difficoltà?)  i cantanti della loro epoca. 

Assistendo a qualcuno di questi spettacoli, mi sono accorto che il testo che i cantanti gorgheggiano è spesso confuso, sconclusionato, a volte proprio ridicolo. Anche perché in molti casi scritto nell’antiquato linguaggio dell’epoca che oggi fa sorridere. Personaggi che in punto di morte, stesi a terra e con una spada conficcata nel fianco, riescono a cantare lunghe e impegnative romanze; altri che in piena situazione di pericolo ripetono infinite volte le stesse incomprensibili frasi (sperando che finalmente qualcuno capisca?); altri ancora che inanellano acuti sovrumani per dichiarare un amore fedifrago o un progetto criminale per cui sarebbe più logico tacere…

A volte i personaggi non corrispondono affatto a quanto sulla scena devono rappresentare.

Il tenore amante prediletto della protagonista soprano può essere fisicamente molto meno attraente dello sgradito rivale in amore (da un loggione una volta ho sentito uno spettatore gridare “Leonora, ripensaci!”).  Un valoroso soldato può avere un fisico così smilzo e debole che difficilmente potrebbe spuntarla in duelli fatali, eppure torna sempre vincitore.  Un soprano di grossa stazza finisce per morire di tisi, creando un conflitto insanabile con la scienza medica e col buon senso.  Ma poco importa: se un cantante è bravo non si può pretendere pure che sia fisicamente corrispondente alla parte.

Un aspetto che mi ha colpito è che spesso i registi tentano di modernizzare opera liriche nate secoli fa riportandole a tempi moderni, con esiti a volte interessanti (se il libretto si presta) a volte sconcertanti o esilaranti.

Ho visto Macbeth tramutato in un dittatore o un boss mafioso, e il re Filippo di Spagna costretto a fronteggiare il terrorismo dei paesi baschi anziché la ribellione delle Fiandre. Attila “flagello divino” messo in scena come una sorta di feldmaresciallo in vena di stermini, salvo poi terrorizzarsi e arretrare davanti ad un papa armato solo di tiara e pastorale.

Violetta (la celebre “Traviata” verdiana) viene rappresentata come una ‘escort’ di alto bordo. Un moderno Rigoletto senza gobba e in giaccone di pelle da pusher tiene l’amata figlia esposta in una pubblica giostra per poi lamentarsi se viene rapita e stuprata con grande facilità.

L’elisir d’amore diventa “Energy drink” e viene venduto su una spiaggia, in cui Nemorino è un bagnino innamorato di Adina che vende bibite in un chiosco. Altro che campagna e mietitori di cui si ostina a parlare il libretto…

L’Algeria dove è prigioniera la vivace italiana dell’opera rossiniana è un covo di fedain o di scafisti. Il bandito Ernani o i masnadieri dell’altra opera verdiana sono arrangiati come trafficanti di droga o sovversivi politici. Capuleti e Montecchi vengono tramutati da giovinastri appartenenti a gang rivali.

E che dire della tetralogia wagneriana, dove il mito antico dei nibelunghi e delle antiche divinità è trasposto in lager o gulag, e il crepuscolo degli dei è la fine della religione con tanto di rogo finale?

Certo, ogni regista può sbizzarrirsi come vuole per modernizzare il passato e stupire il pubblico con le più strane invenzioni. Avviene anche nel cinema e in teatro, specie nelle messe in scena di opere classiche. Ma per le recite liriche il problema è diverso.

Il testo del libretto d’opera va comunque cantato per come è (anzi, era) scritto secoli fa; e in alcuni casi il contrasto tra le azioni in scena e le parole cantate è tale da far sbellicare dalle risa anche nei momenti più drammatici. Se non fosse che le parole – specie se in lingua diversa da quella dell’ascoltatore – non si capiscono bene, e si ascolta solo la musica, le tragedie diventerebbero farse…

Nonostante tutto ciò, poche opere come quelle liriche risultano tanto appassionanti e avvincenti per gli spettatori. Secondo me questo avviene perché, associando la musica alle parole e alle azioni, si esprimono e si inducono emozioni forti, che la vita reale difficilmente consente. Amore appagato o deluso, gelosia, invidia, odio, vendetta, sete di potere, ribellione, ma anche beffa, ironia, equivoci e divertenti scambi di persona, e improbabili ma avvincenti finali liberatori.

Queste emozioni, amplificate dalla musica, piace vivere e godere al pubblico dei palchi e dei loggioni (e anche quelli che guardano da casa). Tutto il resto non conta…