ANCORA LO SPUNTO DI UN LETTORE PER QUESTO RAPPORTO, CHE SI ADDICE AL CLIMA NATALIZIO IN CUI TANTI DICONO DI SENTIRSI PIÙ BUONI…
Un lettore mi ha fatto conoscere un testo scritto da Norberto Bobbio, che è stato filosofo e giurista, e senatore a vita per vent’anni fino alla sua morte nel 2004. È uno scritto che elogia la mitezza, una caratteristica umana andata un po’ in disuso da quando nel 1994 Bobbio ne parlava già come una rarità da preservare.
Di mitezza avevano parlato altri autori, come affermazione di sé e dei propri principi però fondata sulla non-violenza. Dante nella sua Commedia citava il greco Pisistrato come esempio di “signore benigno e mite … con viso temperato”. Francesco d’Assisi, Gandhi, Martin Luther King, Danilo Dolci, sono considerati esempi di persone miti ma attive e perseveranti, che hanno cambiato realtà negative non intaccabili con la violenza.
“Beati i miti, perché erediteranno la Terra” proclama il Cristianesimo, e Martin Lutero aggiungeva “più sei mite, più ti avvicini al cielo”. Anche molte religioni orientali concordano sul valore di questo carattere, considerato una virtù.
Ma non voglio aggiungere altre parole a quanto dice Bobbio, che preferisco riportare letteralmente, come ho già fatto con i miei committenti alieni.
«La mitezza è il contrario della protervia e della prepotenza. Il mite non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di confliggere, e alla fine di vincere.
Ma la mitezza non è remissività: mentre il remissivo rinuncia alla lotta per debolezza, per paura, per rassegnazione, il mite invece rifiuta la distruttiva gara della vita per un profondo distacco dai beni che accendono la cupidigia dei più, per mancanza di quella vanagloria che spinge gli uomini nella guerra di tutti contro tutti.
Il mite non serba rancore, non è vendicativo, non ha astio verso chicchessia. Attraversa il fuoco senza bruciarsi, le tempeste dei sentimenti senza alterarsi, mantenendo la propria misura, la propria compostezza, la propria disponibilità. Ecco il ‘potere su di sé’…
Il mite può essere l’anticipatore di un mondo migliore.
Egli non pretende alcuna reciprocità: la mitezza è una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata.
Amo le persone miti, perché sono quelle che rendono più abitabile questa “aiuola”, tanto da farmi pensare che la città ideale non sia quella fantastica e descritta sin nei più minuti particolari dagli utopisti, dove regna una giustizia tanto rigida e severa da diventare insopportabile, ma quella in cui la gentilezza dei costumi sia diventata una pratica universale».
Gli fa eco lo psichiatra fenomenologo Eugenio Borgna in un libro sulla mitezza scritto l’anno scorso, poco prima della morte. Contrastando aggressività ed angoscia, impazienza e indifferenza, orgoglio e superbia, la persona mite afferma gentilezza e affettività positiva come virtù sociali utili per i singoli, le famiglie, e la collettività.
Le conclusioni convergenti di Bobbio e di Borgna riportano l’utopia a dimensioni realistiche e concretamente fattibili.
La persona mite concorre a creare un nuovo mondo, o almeno tante “aiuole” nel deserto che tragicamente si sta diffondendo. Contribuisce a quell’ al-di-là che tanti immaginano fuori dal mondo attuale, in un futuro indefinibile nello spazio e nel tempo. Il mondo nuovo invece andrebbe attuato già nell’al-di-qua, migliorando e rendendo più sostenibile la realtà del pianeta in cui gli umani trascorrono – spesso male, tra conflitti e violenze – i pochi o tanti anni della loro vita.
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