NEL RAPPORTO PRECEDENTE ABBIAMO COMMENTATO LE STATISTICHE SULLE PAURE DEGLI ITALIANI. ADESSO RIFLETTIAMO SU ALTRI DATI, CHE RIGUARDANO LE COMPETENZE DA APPRENDERE MEDIANTE L’ISTRUZIONE. LA LORO CARENZA HA CONSEGUENZE ANCHE SULLA CONVIVENZA SOCIALE.
L’OCSE, organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, ogni anno pubblica i risultati delle sue indagini sulle competenze degli adulti dei paesi del mondo. Da dieci anni l’Italia fa cattiva figura nella classifica di queste competenze, restandone sempre al fondo. In “zona retrocessione”, se si trattasse di una gara sportiva, molto distanti dai paesi scandinavi, dal Giappone e dall’Olanda, che hanno le prestazioni migliori.
Ben 35% degli adulti italiani (la media mondiale è il 26%) rientrano nella categoria degli “analfabeti funzionali”. Pur sapendo leggere e scrivere, hanno difficoltà nel comprendere, assimilare e utilizzare le informazioni che leggono. Il 25% riesce a capire solo testi brevi o con informazioni chiaramente schematizzate. Il 10% capisce al massimo frasi corte e semplici. Solo il 5% degli adulti italiani (contro il 12% generale) si colloca nella fascia più alta, capace di comprendere testi di più pagine e densi di contenuti, cogliere i significati importanti. E in grado di portare a termine compiti complessi. Quasi la metà ha grandi difficoltà a risolvere problemi di adattamento in cui la soluzione non è immediatamente disponibile.
Le cose non vanno meglio in matematica. Più di un terzo degli adulti italiani sono in grado di fare calcoli di base e trovare singole informazioni in tabelle o grafici, ma sono in difficoltà in compiti che richiedono più passaggi, ad esempio risolvere una proporzione.
Rilevanti differenze si riscontrano nella popolazione italiana in base alla residenza, all’età, al grado di istruzione. La situazione peggiore si riscontra al Sud e tra gli anziani e tra i meno scolarizzati. I giovani fra 16-24 anni più scolarizzati hanno la prestazione migliore, dimostrando l’importanza – peraltro ovvia – dell’istruzione, che in Italia è ancora limitata per quanto riguarda le fasce più alte: solo 1 su 5 è laureato e il 38% non è arrivato alla diploma di scuola superiore.
Investire nell’istruzione è l’ovvia soluzione del problema. Ma non solo aumentandone la quantità, perché anche la qualità lascia a desiderare. Per quanto riguarda il sistema scolastico il rapporto Censis 2024 conferma che non raggiungono gli obiettivi di apprendimento in italiano un quarto degli alunni al termine delle primarie, e quasi la stessa percentuale al termine delle superiori.
Nonostante l’istruzione, persistono lacune clamorose: il 30% degli italiani non sa chi è Giuseppe Mazzini (per il 19% è stato un politico della prima Repubblica). Il 32,4% attribuisce le pitture della Cappella Sistina a Giotto o Leonardo.
Non è una scoperta nuova che l’ignoranza accresce il pregiudizio: sociologi e psicologi lo affermano da tanto tempo.
Il rapporto Censis attesta che il 38% degli italiani si sente minacciato dall’arrivo dei migranti, il 22% da chi è di razza o religione diversa, il 14,5% teme chi ha un diverso colore della pelle. Il 13% pensa che la razza determina anche l’intelligenza.
Il 29% vede con ostilità una famiglia diversa da quella tradizionale, il 12% chi ha un orientamento sessuale diverso da quello “normale”. Per il 15% degli italiani l’omosessualità è una malattia.
L’istruzione e l’educazione dovrebbero smontare questi pregiudizi anti-scientifici (ammesso che anche gli educatori non li condividano…). Ma è difficile far comprendere complesse teorie scientifiche o sociali a quella quota (non irrilevante, come abbiamo visto) di cittadini adulti che capiscono solo frasi semplici e a livello concreto. Per loro va bene solo il linguaggio di Whatsapp o Instagram, e non vanno oltre i titoli e gli elenchi puntati di argomenti che propongono i quotidiani online.
Si può sperare che la diffusione dell’istruzione nelle fasce giovanili della popolazione aumenti il livello generale, e renda le persone più in grado di capire i problemi sociali e cercare le soluzioni. E che anche la classe politica rifletta questo incremento, senza accontentarsi di slogan semplicistici e di soluzioni ideologiche. Facili da capire perché evadono la complessità dei problemi, che andrebbe valutata con capacità critiche e intelligenti.
Se non si incrementa l’intelligenza naturale le società finiranno con l’essere governate da quella artificiale, e da chi la controlla…
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