BAMBINI E ADOLESCENTI ABUSANO SPESSO DEI SOCIAL MEDIA, CHE POSSONO PROVOCARE DANNI AL LORO SVILUPPO. DUNQUE FINO AD UNA CERTA ETA’ BISOGNA PROIBIRE L’USO DEI SOCIAL?

Un recente studio ha dimostrato che in Italia quasi tutti i ragazzi e le ragazze fra 8 e 16 anni (94%) utilizzano lo smartphone, frequentano regolarmente i social (70%) e trascorrono in media fra 1 e 3 ore al giorno connessi, il 20% oltre 4 ore. Il 40% dichiara di aver avuto esperienze negative online.

Per valutare le conseguenze di questo uso massivo è importante considerare ciò che si fa durante la connessione. È utile tenersi in contatto con il proprio gruppo classe o con la squadra sportiva, mentre un uso improprio può interferire con il benessere fisico e mentale nello sviluppo, ed esporre a rischi di commettere o subire violenze, o veri e propri reati.
Lo dicono gli appelli preoccupati di pedagogisti e psicologi, e lo sanno anche molti genitori, che però non sembrano propensi a vietare l’uso dello smartphone ai loro figli.
Perché – dice l’88% in un sondaggio dell’Università Bocconi –  “ce li hanno tutti, e non farli partecipare ai social dei loro gruppi vuol dire escluderli, isolarli”. Un danno altrettanto grave di quello che può derivare da un cattivo uso.
A meno che si impedisca a tutti di usarlo. E questo ha fatto il governo australiano approvando una legge che vieta l’uso dei social media ai minori di 16 anni. La norma entrerà in vigore tra un anno, perché i gestori delle piattaforme dovranno adeguarsi per verificare l’età di chi le usa, altrimenti subiranno multe fino a 30 milioni di dollari.

In effetti i problemi tecnici sono tanti, per verificare l’identità e l’età reale di chi si iscrive al social, e aumentare il controllo dei genitori. Cosa che finora non è riuscita dove il limite esiste già (inclusa la stessa Australia) ma arriva ad età inferiori, fino a 13 anni.

Dunque niente più Whatsapp, Instagram, TikTok per i ragazzini (anche se dopo la scuola dell’obbligo dovessero usare i social per lavoro?). Vietati come l’uso dell’auto o delle moto fino all’età legale per prendere la patente. Ma in questo caso la patente, e una relativa scuola-guida, non ci sono: scattati i fatidici 16 anni, l’immersione nel mondo social potrà essere totale e indiscriminata, anzi peggiorata dalla precedente astinenza forzata.

Certo l’aspetto essenziale, ribadito dagli stessi psicologi e pedagogisti che premono per il divieto, sarebbe l’educazione ad usare bene smartphone e social, senza lasciarsene travolgere ma anzi per migliorare la socializzazione. Mancando questo, non resta che il proibizionismo. Ma potrà funzionare? La storia lascia forti dubbi.

Si cominciò con la proibizione della mela che costò ai progenitori, indotti in tentazione, la cacciata dal paradiso terrestre. Leggenda, si dice. Ma primo esempio che ricorda la naturale attrazione verso ciò che è vietato: più una cosa è proibita, più diventa oggetto di desiderio da appagare anche trasgredendo le norme. “Niente infiamma il desiderio quanto una cosa proibita” scriveva Ovidio.

La tentazione della mela proibita…

Più recente, e storicamente comprovato, il caso della legge che nell’800, su pressione delle “Società per la Sobrietà”, proibì negli Stati Uniti la vendita di stampe erotiche di ogni tipo (foto, giornali, libri). Ma la censura – come sempre – non ha impedito che l’oggetto proibito si diffondesse. Ha solo costretto produttori e consumatori a fare tutto di nascosto: come ancora fanno oggi tanti giovani (e tantissimi adulti) col materiale pornografico vietato ma ampiamente diffuso via internet.

Sempre negli Stati Uniti, un secolo fa per tredici anni si cercò di impedire fabbricazione e vendita di alcolici, ritenuti (giustamente) dannosi per la vita sociale oltre che per la salute individuale. Ma si finì col mettere questo commercio in mano al mercato nero e ai gangster, dimostrando la verità dello slogan (tuttora valido) secondo cui “Il proibizionismo è criminogeno”. La stessa proibizione di comprare alcolici vige ancora oggi per i minorenni, ma questo non impedisce loro di ubriacarsi con bevande acquistate da altri o in modo abusivo, o di “sballarsi” con sostanze ancora più dannose.

Sapere che una sostanza è vietata induce i giovanissimi a provarla, per vedere che effetto fa. Ciò che è proibito induce alla trasgressione che è già insita nell’adolescenza come meccanismo di affermazione di Sé contrastando le norme sociali.

Proibire comportamenti o consuetudini – per quanto effettivamente rischiosi – induce usi ancora più dannosi. È il caso della prostituzione che nel vostro Paese, da quando furono proibite le “case di tolleranza” legali, ha spostato il mercato sulle strade con maggiori pericoli per chi offre e chi compra sesso a pagamento.

Esistono peraltro studi documentati, come quello di Mark Thornton sulla “economia della proibizione”, che dimostrano i costi nascosti delle politiche proibizioniste.

Nel caso dei social media, dichiararli illeciti ad una certa età rischia di alimentare mercati paralleli altrettanto illegali e poco controllabili.
Nel quotidiano, c’è la possibilità che amici più grandi cedano (o vendano) i loro account ai più piccoli.
Si possono creare problemi ancora più gravi degli attuali costringendo i ragazzi a fare di nascosto ciò che prima i genitori potevano vedere e controllare. E quanti genitori, già prima permissivi o distratti, consentiranno ai figli di usare i loro smartphone, magari come “premio” se si comportano bene? Quanti educatori che usano i social per tenersi in continuo contatto con gli amici o per svagarsi, si asterranno dal farlo in presenza dei figli o degli alunni, o lo faranno a loro volta di nascosto chiudendosi in bagno o andando in giardino?

E comunque, chi potrà controllare capillarmente gli usi illegittimi dei minorenni, se è già quasi impossibile farlo per gli adulti?

Il primo ministro australiano per far approvare la legge proibizionista ha dichiarato: «Vogliamo che i giovani abbiano una vera infanzia. E che i genitori ritrovino la serenità». Sarà così?

se così è…

Ironicamente un manuale di pedagogia ricorda che l’educazione proibisce alle giovani generazioni di imitare quello che fanno gli adulti.
Vero. Se non cambiano gli adulti, sarà difficile che i giovani non riproducano quello che i loro “educatori” fanno. Compreso l’uso improprio di smartphone e dei social.
E il proibizionismo difficilmente potrà impedirlo.