NEL MONDO OGNI ANNO SI SPRECANO 1260 MILIARDI DI PASTI. UN TERZO DEL CIBO PRODOTTO NEL VOSTRO PIANETA. LO DICE L’OSSERVATORIO INTERNAZIONALE SUGLI SPRECHI, PER LA GIORNATA MONDIALE DI CONSAPEVOLEZZA SU QUESTO PROBLEMA.
La stampa ed i social hanno dato poco eco a questa sconvolgente notizia, forse per non danneggiare l’economia diminuendo le vendite di generi alimentari. Oppure per non turbare la coscienza di chi se la mette a posto dando una elemosina a chi dichiara di avere fame (ma spesso chi ha fame non chiede l’elemosina per strada).
Solo qualcuno ha ricordato che in Italia, con gli oltre 4 miliardi di pasti sprecati all’anno, equivalenti a 454 Euro medi per famiglia, si potrebbero nutrire gran parte dei 6 milioni di persone che vivono in condizione di povertà alimentare. Il 10% dei residenti in Italia, secondo i dati dell’Istat e della Caritas. Ma quantità di cibo e di fame non riescono ad incontrarsi nel complesso della popolazione. Nonostante gli appelli a contenere gli sprechi con una buona educazione alimentare, che ai bambini viene proposta a scuola, ma viene smentita da quanto vedono fare alle loro famiglie e agli stessi insegnanti.
Commentando questi dati, vorrei andare oltre il confronto fra chi ha troppo e chi ha troppo poco, già trattato in un post di qualche anno fa. Serve a poco, in un mondo che crede poco all’aldilà, richiamare la parabola evangelica secondo cui il ricco ingordo, e il povero che cerca gli avanzi della sua mensa, avranno poi una sorte diversa dopo la morte. Ed è inutile ricordare che per molti dei ghiottoni la punizione letale arriva in anticipo, visto che mangiare troppo è causa di malattie dette “del benessere”, che portano alla tomba prima del tempo (anche di questo abbiamo già parlato).
Secondo un politico italiano se la passa meglio chi ha meno da mangiare, perché segue una dieta meno raffinata e più salutare. Ma i politici italiani forse provengono come me da un modo alieno…
Restando su questa terra, vorrei capire perché qualcuno compra molto di più di quello che riesce a mangiare, così da dovere poi buttare via il sovrabbondante. Forse perché gli ipermercati che invadono le città offrono tante cibarie, reclamizzate sui media, che la gente condizionata dalla pubblicità compra pur non avendone bisogno. Come se si dovessero affrontare periodi di carestia, chi ha le possibilità economiche fa scorta di cibo senza guardare la scadenza semi-nascosta nelle confezioni.
Alle considerazioni già espresse in precedenza, stavolta ne aggiungo una che deriva da esperienze e letture sui cibi offerti dai ristoratori.
Molto spreco deriva proprio dai ristoranti e dalle altre miriadi di luoghi che offrono nutrimento e piaceri della tavola alla popolazione mondiale. Peraltro, alcuni di questi impresari del gusto, consapevoli che molto di quello che propongono ma non vendono andrà sprecato senza poter essere riciclato, alzano i prezzi in modo spropositato.
Ispirati da chef “stellati”, il cui valore pare stia nell’abbinare stravaganti invenzioni gastronomiche con costi altrettanto straordinari, alcuni ristoratori offrono pietanze con ingredienti rari e ‘preziosi’ a prezzi vertiginosi. Prezzi offensivi per chi non può permettersi neppure gli economici fast food o i negozietti di kebab, ed ha problemi a fare la spesa per mangiare nella propria povera abitazione. Ma sconvolgenti anche per chi vive di “normale” stipendio e ogni tanto si concede un pranzo o una cena fuori casa.
In un ristorante durante una cena congressuale abbiamo trovato nel menù una pizza “speciale” che mescola provola, crema di tartufo, tartare di Wagyu A5, e oro 18 kt. Al prezzo di “soli” 92 Euro. Con i commensali ci siamo guardati esterrefatti, ci siamo chiesti che sapore prelibato possa avere l’oro 18 carati misto alla carne, al formaggio e al tartufo, e abbiamo cercato su internet cos’è il Wagyu e cosa vuol dire A5 (non è la sigla di un’autostrada).
Abbiamo appreso che questa carne pregiata costa mediamente 500 Euro al chilo, e l’animale superpregiato (e geneticamente selezionato) da cui si macella può arrivare a valere fino a 25mila Euro. Niente a che vedere con le mucche smagrite dalla siccità che vediamo nelle nostre campagne, vittime anch’esse del riscaldamento globale.
Ma non è il Wagyu A5 la carne più costosa al mondo. Il record è di una razza di manzo francese, la Blonde d’Aquitaine: una singola costata può costare (scusate il gioco di parole…) fino a 3000 euro!
Da accompagnare con vini di pari valore. Senza arrivare al Romanée Conti del 2000 venduto all’asta da Sotheby’s per 357mila euro (ma se ne trova meno antico anche a 25mila su EBay), ci si può accontentare di un Bolgheri Sassicaia rosso a soli 350 Euro a bottiglia.
E quanto alle pizze, abbiamo scoperto nella miniera della rete che ce ne sono a prezzi variabili da 700 euro al top di 12mila dollari, che bisogna spendere per gustare una varietà inventata da un pizzaiolo campano. Sulla congruità di questi prezzi col reddito generale della popolazione, aspetto i vostri commenti e quelli dei miei superiori alieni.
Per concludere il racconto della serata al ristorante, dirò che abbiamo ripiegato su una “povera” pizza vegetariana, senza sprecarne neppure i bordi. E qualcuno, senza vergogna, ha chiesto di portarsi i pezzi che non era riuscito a mangiare in un “doggy bag” (ma non per il cane!).
Nessuno di noi ha osato chiedere al pretenzioso ristoratore se avessero venduto mai a qualche ricco epulone (magari un petroliere arabo di passaggio) una pizza tanto costosa. E non abbiamo chiesto cosa ne fanno del Wagyu avanzato perché non scelto dai comuni avventori del locale. Forse lo congelano… oppure farà parte anch’esso degli sprechi alimentari?
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