HO GIA’ SCRITTO IN UN RAPPORTO PRECEDENTE CHE NEL MIO PIANETA ALIENO NON ESISTONO GIOCHI OLIMPICI, PER CUI SEGUO CON INTERESSE QUELLI CHE SI SVOLGONO SULLA TERRA.
IN QUEL RAPPORTO RICORDAVO CHE DURANTE I GIOCHI NELLA ANTICA GRECIA LE GUERRE VENIVANO SOSPESE. LO SPORT CON IL SUO AGONISMO SUPPLIVA ALLE BATTAGLIE CRUENTE. ATENE E SPARTA SI SFIDAVANO NELLA CORSA E NEL TIRO CON L’ARCO, SENZA FARE VITTIME.
Riprendo l’argomento per ribadire che nei giochi moderni non è più così. Sono invece le guerre a fermare i giochi, come è avvenuto durante i due conflitti mondiali.
Dopo la prima guerra mondiale ai giochi del 1920 furono escluse le nazioni perdenti (tranne l’Italia che aveva cambiato campo in extremis…)
Spesso sono alcuni paesi a rifiutarsi di partecipare ai giochi organizzati da nazioni rivali. La Spagna repubblicana non andò ai giochi di Berlino nazista. L’Unione Sovietica si tenne fuori dai giochi fino agli anni ’50. A Melbourne e poi a Montreal molti paesi non andarono per protesta politica. Gli statunitensi non parteciparono a Mosca, e per ritorsione i russi non andarono a Los Angeles. I coreani del nord ovviamente si rifiutarono di gareggiare a Seul e diversi altri paesi condivisero questa scelta.
Dagli attuali giochi di Parigi atleti russi e bielorussi sono esclusi perché considerati “complici” della guerra contro l’Ucraina. Però pochissimi di loro potranno partecipare, senza bandiera nazionale, perché hanno dimostrato di non aver sostenuto attivamente la guerra in Ucraina, e di non essere legati all’esercito del loro Paese.
Insomma, altro che giochi come occasione di tregua… spunto per ribadire i conflitti!
Addirittura in qualche caso i conflitti sono stati importati dentro i giochi, come avvenne a Monaco quando i terroristi di “Settembre nero” attaccarono gli atleti israeliani all’interno del villaggio olimpico.
Interferenze politiche sulle Olimpiadi, e sullo sport in generale, sono comuni. Nei giochi di Berlino un obiettivo del Führer era mostrare al mondo i successi della razza ariana. Però dovette allontanarsi dallo stadio quando Jessie Owens, nero doc, smentì clamorosamente la sua teoria. Adesso non ci sono più queste remore. Tutti i Paesi per accrescere il loro medagliere ingaggiano neri ‘oriundi’ che in tanti sport sono la razza chiaramente più forte.
In tempi diversi, il Comitato Olimpico Internazionale è stato criticato per ingerenze politiche, ma anche per imbrogli finanziari (si sa che le due cose vanno spesso insieme).
Nel vostro mondo lo sport è dunque al servizio della politica guerrafondaia, oltre che dell’imprenditoria economica?
Eppure le intenzioni dei fondatori dei giochi erano altrettanto pacifiche – e dilettantistiche – quanto quelle degli antichi greci.
Secondo il barone De Coubertin per rinforzare la nazione andavano incrementate le competizioni sportive piuttosto che le battaglie. Sosteneva che se le gare assumono una dimensione internazionale possono servire anche ad avvicinare le nazioni, permettendo loro di confrontarsi in competizioni sportive anziché belliche.
A simile conclusione arrivò l’etologo Konrad Lorenz secondo cui l’antagonismo sportivo è una possibile valvola di scarico dell’istinto aggressivo. Scriveva Lorenz che lo sport è “una forma ritualizzata del combattimento, che si è sviluppata nella vita culturale umana … impedisce gli effetti dell’aggressione socialmente dannosi” e rende possibile sfogare in modo non distruttivo la rivalità nazionalistica.
Da prospettiva diversa, Freud scriveva nel 1930 che “La civiltà deve fare di tutto per porre limiti alle pulsioni aggressive dell’uomo, per contrastarne la forza mediante formazioni psichiche reattive.” Ma la guerra mondiale che si sarebbe scatenata pochi anni dopo dimostrò che queste “formazioni reattive” non bastano a risolvere le pulsioni aggressive dell’umanità.
Utopie, certamente, quelle del barone francese, e quelle degli etologi e degli psicoanalisti. Ma con un fondo di speranza che ogni utopia conserva. Ricordando – come abbiamo fatto in precedenti rapporti – che la violenza non è “naturale”, come Freud e Lorenz ritenevano. E che la tendenza all’odio e ai conflitti si potrebbe invertire, cambiando il modo di educare i giovani, e ripudiando la logica della sopraffazione come fondamento dei rapporti sociali e politici.
Per raggiungere questo fine lo sport è certamente un mezzo potente. Educa a considerare la competizione e la lotta come mezzo per sconfiggere l’avversario, non per violentarlo. Abitua a vivere lo spirito di squadra come strumento per migliorarsi insieme, non per distruggere la squadra rivale, che ha sempre diritto ad una rivincita con le stesse regole di lealtà e rispetto reciproco.
In questa prospettiva di utopia ma anche di speranza, chissà che un giorno le guerre che insanguinano tante parti del mondo possano davvero essere sospese durante le competizioni olimpiche, consentendo a tutti di partecipare con entusiasmo e senza boicottaggi reciproci.
Così russi e ucraini, israeliani e palestinesi, yemeniti e houthi, indiani e pakistani, potrebbero incontrarsi e sfidarsi su un ring o un tatami, nel tiro a bersaglio, su un campo di calcio o di rugby, in una piscina di pallanuoto. Con sano agonismo, ma rispettando le regole e il fair play. Cosa che le loro nazioni non riescono a fare…
Comments are closed.