IN UN POST DI QUALCHE ANNO FA AVEVO CERCATO DI CAPIRE COME NEL VOSTRO MONDO LA “VERITÀ” SI PUÒ DISTINGUERE DALLA MENZOGNA. E COME SI POSSONO SMASCHERARE LE DISTORSIONI VOLONTARIE DELLA REALTÀ, CUI CI HANNO ABITUATO LE FAKE NEWS, E I TANTI IMBROGLIONI CHE FALSIFICANO I FATTI PER FARE I LORO INTERESSI.
I miei superiori alieni, frastornati dalle tante verità che scienziati e politici terrestri sbandierano, venendo subito smentiti da altre “verità”, mi chiedono di tornare sull’argomento. Ma dal punto di vista delle diverse verità possibili su uno stesso fatto, e dell’uso che se ne può fare per sostenere le proprie convinzioni. Senza alterare i dati della realtà (come nelle fake news), ma presentandoli in modo tale da dimostrare la verità solo delle proprie ipotesi.
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La storia del pianeta, sin dai primordi, ricorda innumerevoli personaggi ed eventi su cui sono state costruite verità storiche contrastanti. Su Nefertiti, Cleopatra, Augusto, Carlomagno, Colombo, Richelieu, Churchill, Mao e tanti altri, quale è la verità “oggettiva” se i fatti su cui ogni storico si basa per la valutazione sono veri, ma parziali?
La scienza – e la divulgazione scientifica – sono piene di teorie diverse, tutte con prove a favore o contro, che sono evidenti per chi sostiene l’una o l’altra ipotesi.
Nelle aule giudiziarie avvocati e periti propongono “verità” diverse sugli stessi fatti. E i giudici devono districare questo groviglio di verità, trovandosi spesso nella stessa posizione di Ponzio Pilato che durante il processo a Gesù si chiedeva “che cos’è la verità”. Ma i nostri giudici non se ne possono lavare le mani… E poi spesso il giudizio di appello ribalta la decisione, facendo prevalere un’altra verità, e lasciando tutti perplessi e sconcertati.
In medicina si propongono farmaci o interventi per alcuni miracolosi, per altri inutili, e per le entrambe le opzioni ci sono prove di ricerca a favore (e ovviamente, altrettante contrarie).
In psicologia le teorie sullo sviluppo umano e sulle relazioni sociali, e sulla stessa conoscenza, portano a conclusioni differenti, tutte ben supportate sul piano teorico e anche sperimentale. Però partendo da metodologie diverse si arriva a conclusioni differenti, ognuna plausibile.
Come districarsi fra tante “verità” spesso contrapposte? Lasciando il giudizio ai “dati”, spesso tradotti in numeri? Ma i numeri quando riguardano argomenti complessi, sfaccettati e in continuo cambiamento, aumentano la confusione anziché offrire un riparo dall’incertezza.
Le statistiche si possono interpretare come si vuole per confermare le proprie ipotesi. Così i dati sull’alimentazione, sulle risorse energetiche, sull’occupazione, possono essere letti e citati in modi diversi, e suggerire interventi addirittura opposti in base a quali interpretazioni vengono privilegiate. Ad esempio, se cresce il numero dei contratti di lavoro, ma solo per certe categorie e in certi ambiti, le politiche economiche e sociali funzionano o no?
In politica le statistiche rappresentano verità alle quali si possono contrapporre dati altrettanto veri.
Se – come è avvenuto nelle recenti elezioni europee – la metà dei potenziali votanti si astiene, le percentuali reali di consenso di ciascun partito andrebbero calcolate sui votanti effettivi. Quindi il 30% e il 24% ottenuti dai due primi partiti diventano rispettivamente 15% e 12%. Si passa da circa un quarto a poco più di uno su dieci.
Se un governo ha una maggioranza del 51% e proclama di agire in base al consenso della maggior parte dei cittadini, dice la “sua” verità. Perché intende “la maggior parte dei cittadini che votano” (ma omettendo l’ultimo pezzo). A questa verità si può opporre, con altrettanta veridicità, che solo un quarto di chi ha votato si è espresso per la maggioranza di governo, mentre gli altri tre quarti o hanno espresso il dissenso non votando, o si sono espressi a favore di altri. Altro che consenso maggioritario…
Dunque, pur senza alterare i dati della realtà, si hanno diverse “verità”.
È quanto sosteneva Pirandello nel suo “così è (se vi pare)”. Relativismo conoscitivo che già i greci antichi conoscevano bene, distinguendo la ἀλήθεια dalla δόξα, e che molti pensatori hanno ripreso e riaffermato. Certo, la separazione tra verità e apparenza a molti (e anche a noi alieni) sembra anti-scientifica, ma è inevitabile per quasi tutte le realtà umane che ci è dato di conoscere: storiche, sanitarie, giuridiche, politiche. Ma anche per le relazioni sociali, ad esempio i conflitti coniugali, o i rapporti di lavoro, o le liti condominiali. Tante di queste realtà sembrano “oggettive” se chi le presenta è bravo a convincere che non ci sono alternative, e chi ascolta non esercita il principio del dubbio. I bravi avvocati (e i propagandisti di mestiere) sono maestri in questo esercizio di costruzione di una realtà “vera”, cioè dimostrabile, che però non considera altri fatti contrastanti, anch’essi dimostrabili ma sapientemente occultati.
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La realtà è una, ma è difficile conoscerla completamente e pienamente. Le verità sono tante, ognuno può costruirsi la sua e presentarla per l’unica realmente “vera”. Ignorando o evitando di riportare le prove di alternative diverse. E proclamando di “possedere” la verità e la certezza, da dispensare (e imporre?) agli altri: lettori di storia, utilizzatori di scoperte scientifiche, malati alla ricerca di cure valide, giurie che devono decidere in tribunale, o cittadini che dovrebbero votare. Eppure a questi bisognerebbe insegnare a cercare prove alternative a quella che sembra una verità, ma potrebbe non essere l’unica. E bisognerebbe cominciare a farlo fin dall’infanzia, abituandoli a cercare se ci sono alternative alle verità che i libri di storia o di scienze propongono. Magari avvalendosi, come qualcuno propone, di sistemi esperti basati sull’Intelligenza Artificiale, ma senza lasciare a questi supporti la decisione finale, che deve spettare sempre e soltanto alla responsabilità umana.
Essenziale è essere consapevoli di quanto diceva Popper: “Aspiriamo alla verità, ma raramente, o mai, possiamo essere del tutto certi di averla raggiunta”. Secondo Einstein “la ricerca della verità è più preziosa del suo possesso”.
Non la presunzione di avere certezze e propinarle al mondo, ma desiderare la verità, e cercarla, è ciò che qualifica come esseri ragionevoli e pienamente “umani”.
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