Come ogni fine anno tra quelli che ho trascorso nel vostro mondo, è il momento degli auguri.
Come l’anno scorso, non voglio ripetere le rituali parole sul “nuovo anno migliore”, è meglio lasciar parlare i poeti.
Dopo la poesia di Neruda, il venditore di almanacchi di Leopardi, la filastrocca di Rodari, che hanno accompagnato la fine degli anni precedenti, adesso una riflessione sull’anno trascorso, scritto da Jorge Luis Borges nel 1923.
Né la minuzia simbolica
di sostituire un tre con un due
né quella metafora inutile
che convoca un attimo che muore e un altro che sorge
né il compimento di un processo astronomico
sconcertano e scavano
l’altopiano di questa notte
e ci obbligano ad attendere
i dodici e irreparabili rintocchi.
La causa vera
è il sospetto generale e confuso
dell’enigma del Tempo;
è lo stupore davanti al miracolo
che malgrado gli infiniti azzardi,
che malgrado siamo
le gocce del fiume di Eraclito,
perduri qualcosa in noi:
immobile.
Nel nostro caso, sostituiamo il quattro al tre, ma resta attuale la riflessione sul miracolo del tempo, che tutto fa cambiare e tutto lascia perdurare.
Un saluto dall’alieno!
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