MERAVIGLIA SCOPRIRE NELLE PARTI RICCHE DEL MONDO LA QUANTITÀ DI CENTRI COMMERCIALI CHE HANNO SOPPIANTATO I PICCOLI NEGOZI E LE BOTTEGHE ARTIGIANE.
Il numero di questi centri sembra spropositato in relazione ai bisogni di acquisto (anche se non lo è, visto che ne aprono sempre nuovi).
Le dimensioni sono enormi. I più grandi, in Asia, occupano fino a 500 mila mq. Il Dubai Mall contiene più di 1.200 negozi, una pista di pattinaggio, 22 sale cinematografiche e più di 120 ristoranti e caffè, oltre un albergo di lusso per chi vuole passarci più giorni. A Bangkok il Siam Paragon, 300 mila mq, ha boutique delle più famose marche di moda, un acquario oceanico, la Thai Art Gallery, una sala da concerto ed opera, una pista da bowling e una sala di karaoke. Il Cevahir di Istanbul ha “solo” 343 negozi, 34 fast food e 14 ristoranti. Era il più grande d’Europa, ma già in Lombardia ne stanno nascendo altri che aspirano al primato.
I centri commerciali “normali”, quelli diffusi nei paesi europei, sono grandi almeno quanto uno stadio di calcio. Girare tutti i reparti richiede capacità fisiche non indifferenti, eppure vagano senza lamentarsi, e spingendo un pesante carrello, persone che in città userebbero l’auto per fare poche centinaia di metri. E affronta questi grandi labirinti pure chi di solito si affida al navigatore satellitare, e qui riscopre le proprie capacità (o incapacità) di orientamento.
Nei supermarket all’interno dei centri si trova di tutto. Dal pesce fresco (da comprare o consumare sul posto) alla frutta e verdura. Dai cosmetici ai libri e giornali, fino ai mobili e gli elettrodomestici, strumenti e accessori informatici, persino farmaci. Ma negli “shopping centers” non si va solo per comprare. Ci si possono passare intere giornate, specie nei giorni festivi, perché vi si trova ben altro che nel supermercato di quartiere.
In margine agli acquisti si incontrano gli amici, passeggiando sotto volte altissime ma senza un cielo naturale (spesso anche le piante sono artificiali). I locali sono freschi d’estate e caldi d’inverno, Si va al cinema nei multisala (un film qualunque, uno di quello che si trovano e nella cui sala ci sia posto). Nei tanti bar e ristoranti si può mangiare e bere a volontà, compresi i cibi regionali e quelli esotici.
Non a caso questi centri si chiamano spesso “città-mercato”. Oppure “outlet villages” se i negozi offrono roba firmata da grandi ditte che “svendono” come negli antichi mercati rionali, ma con sfavillare di luci e attraenti insegne.
Sono città parallele, che a volte hanno anche la struttura urbana con le piazze e le strade. Col vantaggio di non avere auto o moto che sfrecciano, e di poter parcheggiare facilmente (anche se spesso è una impresa ritrovare l’auto negli sterminati spazi di posteggio).
Aperti ogni giorno e ad orario continuato fino a tarda sera, sono surrogati dei vecchi centri di aggregazione che non esistono più. Le piazze ‘vere’, con i bar in cui ci si dava appuntamento e si discuteva di sport e di politica, con le panchine dove ci si riposava o sbocciavano i primi amori, dove i bimbi giocavano mentre i genitori chiacchieravano con altri genitori.
Questi centri di aggregazione adesso resistono solo in certi zone o nei paesini. Nell’era dei quartieri-dormitorio l’aggregazione avviene non attorno al con-vivere ma attorno al comprare. È questa una realtà normale nella parte ricca del vostro mondo, dove l’essenza della vita deve essere comprare, e a questo nucleo fondamentale dell’esistenza deve essere associato il resto della vita.
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