UN FENOMENO INIZIATO IN GIAPPONE SI STA DIFFONDENDO IN TUTTO IL MONDO OCCIDENTALE. RIGUARDA PER LO PIÙ GIOVANI ED HA INIZIO SEMPRE PIÙ PRECOCE.
È definito Hikikomori e vuol dire “separarsi dal mondo e stare per conto proprio”.
Una volontaria esclusione sociale, da parte di giovani che restano chiusi in casa nella loro stanza senza alcun contatto diretto con l’esterno, neppure con i familiari o amici. Rifiutano i rapporti personali fisici, mentre con la mediazione della rete internet si può passare gran parte del tempo intrattenendo relazioni sociali solo mediante chat o tutto quello che si può conoscere e fare online. Alcuni si limitano invece a videogames solitari: per loro è proprio un lockdown esistenziale che coinvolge tutte le attività relazionali. Diverso da quello cui ci ha costretto la pandemia, perché in questo caso la reclusione è volontaria, e la chiusura al mondo è una scelta.
Una sorta di vita virtuale, che rassomiglia ad altre condizioni analoghe riconosciute da tempo.
Gli eremiti ci sono stati da sempre. Individui che hanno abbandonato la civiltà per vivere da soli e senza contatti col mondo. Lo stesso per il monachesimo di clausura: il proprio mondo racchiuso in un chiostro.
A chiudersi nel proprio mondo interno portano anche l’autismo e il “ritiro” psicotico, o la depressione grave. Tutte condizioni per cui la persona sta per conto proprio, o addirittura a letto, chiusa nella propria “bolla” esistenziale.
Oggi l’isolamento può derivare dalla eccessiva dipendenza da internet, per cui si resta chiusi in casa davanti al computer vivendo la propria vita “a distanza”. In alcuni casi si sfogano così le proprie patologie.
Ma il vero hikikomori è diverso. Attua un ritiro dalla vita sociale completo e prolungato. Rifiuta la scuola o il lavoro, ma in assenza di patologie e condizioni tra quelle descritte prima. Eremiti del mondo contemporaneo, ma senza risonanze religiose.
Ha addirittura valenze positive: la figura dello hikikomori è spesso utilizzata nei manga, e diventa uno stereotipo dei cartoni animati giapponesi diffusi in tutto il mondo. Non è raro trovare affidato il ruolo di “eroe” a uno hikikomori, manifestando non solo accettazione ma persino una valenza positiva dell’immagine di questo modello di vita sociale.
I sociologi dicono che questo fenomeno è nato nella società giapponese per la eccessiva pressione culturale verso la realizzazione di sé e il successo personale, cui si è sottoposti fin da bambini. E siccome questa pressione verso la competitività è diffusa nel mondo occidentale, anche il numero di hikikomori aumenta in tutto in mondo.
Personalità caratterizzata da un “falso sé”: la propria identità autentica è quella che si vive in lockdown non temporaneo ma perenne. Fra la facciata pubblica della personalità e quella privata prevale quest’ultima, che tende a diventare esclusiva. Gli altri (via chat, social, internet) entrano nel privato solo quando la persona lo vuole, altrimenti si stacca del tutto.
Come si interviene? Alcune soluzioni sono medico-psichiatriche: ricovero ospedaliero, prescrizione di psicofarmaci, e psicoterapia, come un disturbo mentale. Ma il trattamento deve essere ri-socializzante, perché il problema è culturale. Bisogna ridurre l’appeal a chiudersi in sé per salvarsi da un mondo iperattivo, competitivo, aggressivo.
In un mondo in cui bisogna fare tutto in fretta, senza pause per sé e per i propri cari, l’alternativa scelta dall’hikikomori è fermarsi, chiudersi nel proprio bozzolo dove nessuno deve mettere fretta. La vera alternativa invece è vivere il tempo giusto, un momento per ogni cosa da vivere intensamente.
In un mondo competitivo bisogna riuscire ad ogni costo, e per fuggire a questa competitività che non si regge e fa paura, l’unica soluzione sarebbe chiudersi in sé. Ignorando che anche la cooperazione è un valore che può servire per fare stare meglio tutti.
In un mondo aggressivo, basato sulla sopraffazione reciproca, l’altro viene considerato come un oggetto con cui giocare e divertirsi (come nel bullismo). Il rischio di essere sopraffatti o bullizzati si evita indossando una corazza e chiudendosi tra le mura di un castello magico. Si alza per sempre il ponte levatoio per non far entrare nessun nemico.
Il linguaggio del mondo esterno non viene compreso, e il mondo non comprende chi narra la sua vita in una lingua diversa. Ci si può comprendere al di là delle parole, con la comprensione profonda delle emozioni e dei significati attribuiti alla vita.
Ecco perché la cura vera dell’hikikomori è favorire l’empatia. Questa è insieme prevenzione primaria (evita il fenomeno) e secondaria (cura chi il fenomeno lo sta vivendo già, ed evita le ricadute). L’empatia si comincia a realizzare vivendo in una comunità con altri che hanno lo stesso problema, lontano dalla casa di origine.
Empatia vuol dire ascoltare l’altro, non solo distrattamente le sue parole ma anche le emozioni. Capire l’altro e farsi capire, porta ad “aprirsi” al mondo esterno, accettare per essere accettati, senza temere la diversità ma anzi valorizzandola. Le relazioni saranno soddisfacenti, non fonte di ansia e stress ma di vero piacere.
Con uno stile di vita diverso di tutti avremo meno hikikomori e più persone che vivono serene insieme agli altri.
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