ASPETTARE CREA ANSIA. SOPRATTUTTO QUANDO CIO’ CHE SI ASPETTA E’ IGNOTO, E FORSE PERICOLOSO. IN QUESTI CASI L’ANSIA PUO’ DIVENTARE SOFFERENZA…
…l’attesa senza requie.
Il peggiore dei mali
Che l’attesa di male imprevedibile
Intralcia animo e passi.
…E quanto un uomo può soffrire imparo
Giuseppe Ungaretti scriveva questi versi nel 1943, nel pieno della guerra che attanagliava la città di Roma e l’intera nazione. Ogni giorno lasciava in tutti l’attesa senza riposo di un male temuto e imprevisto: perdere la casa, la libertà, la vita.
Lo stesso avviene nei paesi in cui la guerra provoca continuamente questa ansia dell’attesa.
Lo stesso è avvenuto durante l’interminabile pandemia che da anni ci impedisce di vivere normalmente.
È la continua e timorosa attesa di qualcosa che può sconvolgere la vita futura delle persone, delle famiglie, dell’intera società. Così si impara a soffrire, non solo per lo stress del presente, ma per la paura di un futuro oscuro e imprevedibile. E perciò incontrollabile.
Tutta la vita, e la vita di tutti, passa attraverso paure e angosce.
Le paure derivano da pericoli presenti, come la paura del bambino quando si trova al buio e può perdere la strada. O di chi incontra un serpente mentre cammina nel bosco.
Le angosce sono generate dall’aspettativa di un pericolo futuro, che può capitare in un tempo e luogo imprecisato. E questo può strutturare vere e proprie fobie. Come il panico del bambino di poter restare da solo al buio, senza sapere dove e quando potrà capitare. O la fobia di chi si angoscia solo al pensiero di poter incontrare ovunque un serpente, e si agita anche solo a vederlo in fotografia.
La paura si può fronteggiare se si è imparato come fare e ci siamo procurati i mezzi per farlo. Una torcia tascabile per il buio, un bastone e calzature adatte per reagire all’attacco dei serpenti quando si cammina nel bosco.
Più difficile è far fronte all’ansia dell’ignoto, appunto perché ciò che è ignoto ha dimensioni non prevedibili e incerti sono gli strumenti per controllarle.
È l’attesa del male ignoto e imprevedibile, come diceva Ungaretti, che impedisce di vivere bene e di sfruttare l’attimo di benessere presente. Che per questo viene definito “attimo fuggente”. Ogni momento sereno che si assapora nasconde un amaro retrogusto, prevedendo che potrà essere presto sostituito da altri momenti di malessere e dolore. E questo impedisce di essere sereni e di godere di ciò che la vita di buono ci offre.
E, trattandosi di un atteggiamento contagioso, il timore dell’ignoto futuro può espandersi e diventare panico collettivo, che travolge tutto e tutti.
Certo, durante una guerra o una pandemia è difficile non essere angosciati per il futuro. In questi casi la sofferenza descritta da Ungaretti è inevitabile, e bisogna solo essere resistenti e, come si dice oggi, “resilienti”.
Il problema è quando (nella maggior parte dei casi) creiamo da noi stessi i fantasmi di tutto ciò che di negativo potrebbe capitare. Magari senza che ce ne siano i presupposti, o esagerandoli rispetto al pericolo reale. Come chi entra in panico in vista di un esame che può andare male, o chi teme malattie e disgrazie senza averne nessun sintomo.
Centrare l’attenzione sul momento presente, senza farsi sommergere dalla tristezza dei ricordi passati. Senza cedere all’ansia che anticipa un futuro negativo. Questa è una logica diffusa in certe antiche culture del vostro pianeta, adesso trasferita anche in terapie psicologiche usate nel mondo moderno, che la chiamano “mindfulness”.
Nel mio mondo alieno è la regola che viene insegnata fin dai primi anni di vita, e questo ci fa stare meglio tutti.
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