ASSISTERE AI DIBATTITI TELEVISIVI, O ALLE RIUNIONI DI LAVORO, DIMOSTRA COME LA TOLLERANZA STIA SCOMPARENDO NEL VOSTRO MONDO.

In realtà, molto tolleranti delle idee e delle azioni dagli altri, gli umani non sono mai stati. Lo dimostrano i conflitti, le guerre, gli stermini che si sono susseguiti nei secoli. Cominciò Caino che non tollerava Abele e pensò bene di eliminarlo. L’esempio fu seguito spesso. I re cominciarono a condannare a morte o esiliare gli oppositori, le inquisizioni di tutte le religioni a liquidare gli eretici, le censure a bruciare i libri sgraditi. Poi si è pensato di escludere i ‘diversi’ dalla società (cosiddetta “civile”). E qualcuno è arrivato a mandare in campi di concentramento intere categorie non gradite.

L’intolleranza verso chi non piace non porta necessariamente all’eliminazione fisica. Induce ad attaccarne la stima, a distruggerne la reputazione. L’uso dei social per denigrare chi la pensa diversamente, dalla politica allo sport ai vaccini, è sempre più diffuso. E porta a conseguenze sempre più gravi per la convivenza sociale, trasformata in un ring dove si cerca un avversario da abbattere.

Meno dogmi, meno dispute; meno dispute, meno disgrazie” scriveva nel Settecento Voltaire nel suo trattato sulla tolleranza. È il dogmatismo, cioè la credenza nella verità assoluta di quello che si pensa, la causa principale della non sopportazione di chi la pensa diversamente, fino a volerlo togliere di mezzo.

Perché si dovrebbe essere tolleranti? Secondo Gandhi la ragione è che nessuno può possedere la verità intera: “Dato che non pensiamo mai tutti nello stesso modo e vediamo la verità per frammenti e da diversi angoli di visuale, la regola della nostra condotta è la tolleranza reciproca.”

Ma la tolleranza non è il rifugio dei deboli, non vuol dire essere paurosi o incapaci, o indifferenti. Ascoltare le idee degli altri, cercare di comprendere i diversi punti di vista, è segno di saggezza e di apertura mentale. Invece è l’insicurezza che porta a barricarsi dietro le proprie idee pensando che siano la verità assoluta, e a non sopportare che altri possano pensare, e dire, e fare diversamente. Se non si è sicuri delle proprie convinzioni e di quello che si fa, chi pensa e fa diversamente ci mette in crisi e diventa perciò intollerabile.

Pirandello in un suo saggio citava De Sanctis, secondo cui la tolleranza non è quella “indifferente dello scettico, dell’ebete, dello sciocco; ma la tolleranza dello scienziato, che non sente odio contro la materia ch’egli analizza e studia, e la tratta coll’ironia dell’uomo superiore alle passioni e dice: ti tollero, non perché ti approvi, ma perché ti comprendo”.

La persona tollerante è sicura delle proprie idee, le difende in ogni modo, senza però voler mettere fuori gioco quanti pensano e fanno diversamente perché stupidi, o in malafede. Semplicemente, fa di tutto per realizzare ciò in cui crede. Non cerca il conflitto, ma non lo teme se serve per affermare i propri diritti.

Chi è disposto a sentire campane diverse da quelle della propria chiesa non vuol dire che vuole abiurare la propria fede. Vuole capire le diversità, superando le passioni che possono turbare questa conoscenza. E proprio in base a questa comprensione diventa più capace di contrastare ciò che potrebbe essere negativo per la convivenza, o pericoloso, o addirittura criminale. Perché l’avversario che si conosce bene si contrasta meglio.

Secondo il Dalai Lama, “reagire con tolleranza anziché con rabbia e odio significa avere un controllo attivo sulle cose, che è frutto di una mente forte e auto-disciplinata”.

Tolleranza non è “buonismo” incondizionato e remissivo, come qualcuno crede. È l’arma dei veri forti, non di gioca sempre all’attacco e mostra i muscoli anche quando non serve. Tolleranti erano i grandi che hanno fatto le vere rivoluzioni. Ma, come giustamente concludeva Popper, in nome della tolleranza, dobbiamo rivendicare il diritto a non tollerare gli intolleranti…