TRA LE PAROLE E I FATTI … ESISTE SPESSO UNA DISTANZA AMPIA, SPESSO ENORME. “TRA IL DIRE E IL FARE C’È DI MEZZO IL MARE” DICE UN VOSTRO PROVERBIO.
UN ESEMPIO VIENE DALLA STORIA AMERICANA.

Dopo le recenti elezioni negli Stati Uniti d’America, che tante parole e tanti proclami hanno diffuso nel mondo, ho cercato di saperne di più sulla storia di questo grande paese. Così ho letto un libro di storia degli States, insieme ad America and Americans di John Steinbeck. Da queste letture ho ricavato una sensazione strana che voglio riportare ai miei superiori, ad anche ai miei lettori terrestri come di solito.


American way, by Margaret Bourke-White 1937

La sensazione è che tra quello che è detto e scritto nelle costituzioni e nelle leggi, e proclamato al mondo, poi di fatto non viene realizzato, anzi spesso si fa il contrario.
Prassi ovviamente diffusa non solo negli Stati Uniti, ma di cui essi – come massima potenza mondiale – sono l’esemplare forse più clamoroso.                              

La Dichiarazione di indipendenza solennemente promulgata nel 1776 proclamava che “tutti gli uomini sono stati creati uguali, dotati di taluni inalienabili diritti, e che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”. Aggiungendo che i governi sono istituiti per garantire questi diritti, scritti tutti con iniziale maiuscola per risaltarne l’importanza.

Ebbene, la ricerca della felicità del popolo americano ben presto passò attraverso anni di sanguinosa  guerra civile con oltre settecentomila morti. Mentre doveva passare quasi un secolo perché il diritto alla libertà per gli schiavi fosse proclamato da Lincoln nel 1862 e poi sancito nel 1865 dal tredicesimo emendamento della Costituzione.

Ma l’uguaglianza dichiarata a parole non valeva nei fatti per i neri – schiavi o liberi che fossero – per i quali la segregazione razziale, nelle scuole, nei quartieri, nei luoghi di lavoro, perdurò ben più a lungo. Tanto da far dire amaramente a Steinbeck che “gli emendamenti alla Costituzione, che garantivano ai neri la libertà e il diritto di partecipare al governo, furono completamente annullati dalle usanze e dalle leggi locali, e da chi era preposto al rispetto della legge, così che per cento anni i neri non furono né emancipati né liberati”.
Secondo l’ipocrita formula adottata in molti Stati del Sud, “separati ma uguali”. Ancora oggi tanto uguali non sono, come recenti episodi di cronaca hanno dimostrato.

From America and Americans by John Steinbeck

La stessa felicità ricercata per il popolo americano non era assicurata ai nativi indiani d’America, altri (presunti) “uguali”, ma sterminati o ricacciati nelle “riserve”.

Né l’uguaglianza era concessa alle donne, che per poter votare come gli uomini dovettero aspettare il 1920.

Il presidente Wilson nel discorso di insediamento nel 1913 affermava con forza che “un sistema industriale che assicura la prevalenza al capitale restringe le libertà e limita le possibilità del movimento operaio e sfrutta, senza preoccuparsi di rinnovarle o conservarle, le risorse naturali del paese”.
Pochi anni dopo il sistema industriale incontrollato, e quello finanziario basato sulla speculazione, avrebbero contribuito  a precipitare non solo gli operai ma tutto il paese in una spaventosa crisi economica. Come già era avvenuto altre volte, e come ancora sarebbe avvenuto in seguito. Perché nonostante le periodiche “depressioni” questi sistemi economici e sociali deprecati da Wilson avrebbero continuato a dettare legge, espandendosi anche nel resto del mondo occidentalizzato.

Il presidente Franklin Roosevelt fu autorevole (forse autoritario) fautore del New Deal per contrastare la “grande depressione” – forse senza riuscirci davvero, vista la nuova grande crisi del 1937. Proclamò tra le libertà fondamentali quella “dal bisogno, che significa intese economiche che assicurino ad ogni nazione in tempi di pace una vita sana per i suoi abitanti, ovunque nel mondo”.  Non v’è dubbio che queste intese sono risultate vantaggiose per alcuni paesi alleati economicamente e politicamente. Ma è altrettanto indubbio che per altri paesi, non altrettanto amici, pace e vita sana sono rimasti un miraggio, proprio per il sistema economico diffuso dagli americani.

John Kennedy sosteneva che bisognava “creare non un nuovo equilibrio di potenza, bensì un nuovo mondo basato sul diritto, in cui i forti siano giusti e i deboli sicuri e la pace sia preservata”.

Forse Kennedy fu ucciso proprio perché pensava di realizzare davvero questo nuovo mondo. Ma non si può dimenticare che proprio durante la sua breve presidenza fu tentata l’invasione di Cuba e aumentata la presenza militare in Vietnam, premessa della guerra iniziata qualche anno dopo dal successore Johnson, con tragiche conseguenze per i vietnamiti ma per gli stessi americani trascinati a combatterla.

E non si può negare che la CIA, Central Intelligence Agency (dove Intelligence sta per spionaggio) tanto abbia fatto per il mondo tranne che fomentare la pace. Coinvolta in assassini di terroristi ma anche di politici e capi di stato, e in interventi diretti o indiretti in tante parti del mondo: dalla Corea al Vietnam, dal Medio Oriente al Cile, dal Guatemala all’Iran, dal Nicaragua all’Iraq… la serie sarebbe lunga. E il copione di portare la pace mediante la guerra (fatta o minacciata) non si arresta.  Del resto, “se vuoi la pace, prepara la guerra” era l’antico detto che permise all’impero romano di “pacificare” il mondo… assoggettandolo mediante la spada. La “pace dei cimiteri” come scriveva Schiller a proposito dell’impero spagnolo su cui “non tramontava mai il sole”, ma neppure le ribellioni dei popoli assoggettati con la scusa di mantenere la vera fede.

Per tornare alla CIA, è noto che si dedicava anche allo spionaggio interno, nonostante fosse proibito dal suo statuto e ci volle un perentorio ordine del Congresso per  ricordare che questo tipo di spionaggio era… di competenza della FBI. Le spie interne, spesso oltre i limiti consentiti dalla legge, non dovevano farsi concorrenza tra di loro!

Quanto corrisponde tutto questo ai principi di libertà e ricerca di felicità da assicurare a tutti i cittadini secondo la Costituzione?

From America and Americans by John Steinbeck

Ma ci sono altri aspetti che fanno riflettere sulla distanza tra ‘dire’ e ‘fare’ nel governo U.S.A.

Non si comprende come mai una nazione che vuole esportare nel mondo libertà e felicità si sia rifiutata di ratificare convenzioni internazionali contro il genocidio e le armi di guerra, contro la discriminazione della donna, per i diritti dell’infanzia, per fronteggiare il cambiamento climatico.

È difficile capire come si concilia la pena di morte, mantenuta e applicata da molti degli Stati che compongono l’Unione, con la dichiarazione formale che le pene devono essere umane e rieducative (ammazzare il delinquente è un mezzo per rieducarlo?)

E non si capisce perché l’accanito mantenimento del secondo emendamento della costituzione che garantisce il diritto di ogni cittadino a portare armi. Nonostante sia evidente che questo diritto sfocia continuamente in omicidi e stragi che privano del diritto alla vita altri concittadini, spesso sterminati casualmente da folli che hanno potuto tenere un arsenale di armi acquistate senza alcun controllo.

Il paradosso della distanza tra il dire e il fare è bene riassunto da Steinbeck: “gridiamo che siamo una nazione retta dalle leggi, non dagli uomini, e poi trasgrediamo ogni legge possibile, se riusciamo a farlo senza rischio”.

Questa amara conclusione, che un grande americano riferiva alla sua patria, vale ovviamente per tutto il resto del mondo. Come ricordavo all’inizio, quanto detto a proposito degli Stati Uniti – la più grande democrazia del vostro mondo – non è che uno dei possibili esempi della distanza tra ideali e loro realizzazione. Altri paesi, che pure si proclamano democratici, fanno ancora peggio. E anche in Italia le cose non vanno molto diversamente, se è vero che la Costituzione deve essere continuamente ricordata per le parti in cui non viene applicata.

Da poco si è ricordato l’ennesimo anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che dovrebbe avere valore mondiale, ma che in tante parti del mondo è per molti aspetti ancora lettera morta.

Probabilmente è vero il proverbio che “dire” è una cosa, e “fare” un’altra. Se questa distanza si potesse ridurre, si eviterebbe di abituare le giovani generazioni all’equivoco e ipocrita “fate come diciamo, ma non fate come facciamo”.

Tutto il pianeta funzionerebbe meglio, e farebbe stare meglio tutti i propri abitanti.