QUESTI GIORNI IN CUI SI RICORDANO I MORTI, E L’AVANZARE INESORABILE DELLA PANDEMIA CHE MORTI NE PROVOCA TANTI IN TUTTO IL PIANETA, INVOGLIANO ANCHE UN ALIENO COME ME A RIFLESSIONI TRISTI MA SPERO UTILI…
Un vostro filosofo ha scritto che nascere vuol dire “essere gettati” in un corpo biologico, e in un mondo finito, che porta dentro di sé, fin dalla nascita, la distruzione e la morte come destino comune universale. Non ci sono progetti di vita personali che, per quanto ben riusciti e soddisfacenti, non abbiano questo finale.
Guardando da fuori, come io ho la possibilità (e la fortuna) di fare, tutti gli umani sembrano dei condannati a morte che si distraggono vivendo. E per distrarsi ne combinano di tutti i colori, come le cronache quotidiane testimoniano. C’è chi per dimostrare a sé e agli altri di essere ancora vivo fa le cose più strane. E questo vale anche per intere società e culture, che affermano logiche di sopraffazione, facendo prevalere ‘domini’ come quello economico o tecnologico che diventano fini a se stessi, e producono ricchezza e benessere (effimero) per pochi, violenza e malessere per molti.
Questo poi finisce per rivoltarsi contro tutti perché “nessun uomo è un’isola” (giusta affermazione che ho letto da qualche parte).
Si assiste ad azioni collettive che portano all’autodistruzione dell’umanità, ma chi progetta e realizza – o consente – questo autolesionismo non si accorgerà neppure delle conseguenze. Perché finirà di abitare la casa che ha contribuito a sfaldare prima che avvenga il crollo definitivo. Ne sono esempio i continui misfatti contro l’ecologia, che preparano conseguenze malefiche a lunga distanza di cui si accorgeranno i vostri discendenti.
Un progetto collettivo, proiettato oltre il tempo immediatamente vissuto, potrebbe realizzare una comunità di intenti che sfida il limite della finitezza dei singoli individui.
Secondo Gandhi “la vita persiste in mezzo alla distruzione; e quindi dev’esserci una legge più alta di quella della distruzione. Soltanto sotto questa legge una società bene ordinata sarebbe comprensibile e la vita degna di essere vissuta”.
Albert Einstein, uno dei vostri scienziati più geniali e famosi, definendosi “un non credente profondamente religioso”, prevedeva che “la religione del futuro, sarà una religione cosmica … Abbracciando insieme il naturale e lo spirituale, dovrà essere fondata su un senso religioso che nasce dall’esperienza di tutte le cose, naturali e spirituali come facenti parte di un’unità intelligente… Con la “consapevolezza di appartenere alla comunità invisibile di coloro che lottano per la verità, la bellezza e la giustizia”.
Citando artisti dopo gli scienziati, riprendo le parole del poeta Tagore: “credo di essere legato ad un solo destino assieme a miriadi di vite” e del cantautore Claudio Baglioni “Dolce capire che non son più solo, ma che son parte di una immensa vita, che generosa risplende intorno a me”. E un altro cantautore, anch’egli definibile religioso-laico, Fabrizio de Andrè: “Non c’è speranza per l’uomo se non nella pietà che sconfigge l’odio, l’egoismo, l’ingiustizia”.
Cosa offrono la scienza, e la tecnologia che ne deriva, per un progetto globale di vita anziché di distruzione? Il “come fare” (“know how” dicono i vostri esperti). Ma non il “perché fare”.
Ve lo posso dire per esperienza, perché nel nostro pianeta questi problemi li abbiamo avuti, e se siamo riusciti a sopravvivere e ad espanderci è perché li abbiamo affrontati creando organismi sovranazionali che hanno saputo governare tutto l’insieme con competenza e lungimiranza, con l’aiuto della scienza e della tecnologia, naturalmente, ma guidandole e non facendoci guidare da esse come mi pare state facendo nel vostro mondo. Da voi tutto ciò che è sovranazionale è visto con sospetto e viene contrastato, usando ognuno la propria tecnologia per sovrastare gli altri anziché metterla al servizio di tutti per stare meglio tutti.
La tecnologia è un mezzo e non può stabilire il fine. Ma di questo parleremo un’altra volta.
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